La torbiera "Pavidolo", delimitata dalla strada per Malgesso, già patrimonio di carbone fino all'ultima estrazione del 1884, divenne successivamente un'area prativa.
Nella stagione autunnale degli anni '30, per le abbondanti piogge si trasformava in un laghetto.
Su quelle trasparenti acque, i ragazzi navigavano a bordo di vecchie madie ... senza gambe.
La campagna di Ronchée ai piedi del Puzùn e della Bréle, subiva i lunghi periodi di incessanti piogge. La zona un po' concava ed il terreno impermeabile favorivano il ristagno delle rabbiose acque nei campi di granoturco e tra i mucchi di fieno settembrino (terzeu).
A volte l'acqua tracimava dall'area, attraversava l'attuale via Petrarca e da via Digri scendeva verso la località Sué.
Una tempesta di neve, un turbine di fiocchi accompagnarono il corteo funebre, preceduto dallo spartineve trainato dai buoi, da Brebbia superiore alla chiesa parrocchiale. Difficoltoso fu l'ingresso al cimitero, impossibile la tumulazione della salma.
"Beato quel morto quando piove sul suo corpo".
Proverbio appropriato alla memoria del nostro indimenticabile don Guido Macchi, parroco per diversi anni a Brebbia.
Il giorno del suo funerale, la torrenziale pioggia si trasformò in un pianto di dolore!
"Per la Madonna della Candelora dall'inverno siamo fuori".
Il proverbio fu veritiero. Infatti, alla fine di gennaio, una tempesta di neve concluse l'eccezionale bianco inverno.
Quell'anno i nevai raggiunsero alti livelli e fu difficoltoso spazzare le stradine ed i cortili servendosi solo di pale e badili.
Prevalse il detto consolante "Sotto la pioggia c'è fame, sotto la neve c'è pane".